Calais, France 2019 #2
Nell’insediamento di rifugiati di fianco al lago di Dunkerque, Francia, il giorno dopo lo sgombero da parte delle forze dell’ordine c’é la stessa quantità di persone che c’era il giorno prima. L’unica differenza oggi é che sono più disperati, molti hanno perso i pochi loro averi.
I più fortunati vanno in giro con addosso tutto quello che possiedono, senza mai lasciare la loro roba da nessuna parte e non essere presi alla sprovvista in caso di un’irruzione della polizia.
I meno fortunati hanno perso tutto a causa della CRS, la polizia anti-sommossa, che viene regolarmente prima dell’alba e sequestra tende, sacchi a pelo, brucia cibo e effetti personali per intimidire i rifugiati e rendergli la vita impossibile. In parte pagati dal governo britannico, le squadre di poliziotti provengono dai quattro angoli della Francia e cambiano ogni due settimane, perché anche loro potrebbero intenerirsi.
Il risultato é che molte persone sono a piedi nudi, alcuni in ciabatte, altri hanno i piedi in sacchetti di plastica, tanti non hanno giacca o sacco a pelo, la maggior parte dormirà all’addiaccio stanotte. Le organizzazioni umanitarie ogni giorno distribuiscono vestiti, scarpe e beni di prima necessità. Ogni due giorni la polizia arriva e li sgombera, a volte portandoli in centri di detenzione sparsi per la Francia per identificarli e rimandarli nel paese dove hanno preso le loro impronte, spesso invece li lascia nel mezzo della campagna francese a poche ore da dove erano insediati.
Una delle prime cose che impari quando scappi dal tuo paese e dai tuoi cari e ti ritrovi anche tu parte dell’esodo di rifugiati è la capacità di valutare velocemente se chi hai davanti ti darà una mano o ti fregherà.
Tutti i sensi sono perennemente all’erta perché spesso non hai scelta e ti devi affidare a totali sconosciuti che si presentano sul tuo cammino. Sviluppi intuito, in alcuni casi ti devi fidare per forza, ma in fondo non ti fidi mai di nessuno perché il presente e le carte in tavola cambiano alla velocità della luce. Impari velocemente a discernere le opportunità, diventi tangibilmente cosciente delle tue priorità.
Come riconoscere se chi hai davanti non ti spoglierà della poca dignità che ti è rimasta?
Fidarsi o non fidarsi diventa un atto di sopravvivenza.
Ogni giorno, ogni momento, devi prendere decisioni importanti da cui dipende la tua sopravvivenza.
“Coperta o telo impermeabile?” ti chiedono i volontari delle associazioni umanitarie dopo un’attesa in coda, all’aperto, che a volte dura delle ore. Hai pochi secondi per capire se per la tua sopravvivenza è meglio recuperare una coperta che darà un pò di calore o optare per proteggersi da pioggia e umidità. “Italia o Grecia?” “Questo tir o quello dopo?” “Una tenda vicino alla strada per poter scappare più velocemente in caso di sgombero o più nascosta nel bosco per evitare di essere scoperto?”
Il rovescio della medaglia è la diffidenza e la regola d’oro è di non fidarsi affatto.
Se sei minorenne e ti propongono un centro di accoglienza per minori dove passare la notte e avere un pasto caldo, potrebbe essere una trappola per prenderti le impronte digitali – o rimandarti dove le impronte te le hanno già prese – e obbligarti a rimanere in un paese dove non parli la lingua e dove non conosci nessuno, allontanandoti dal progetto di raggiungere la tua famiglia, i tuoi amici rifugiati che ce l’hanno fatta prima di te o di coronare il sogno di vivere in una società che ti affascina e ti attira da sempre, per finalmente andare a scuola, imparare un mestiere e iniziare una nuova vita in un clima di pace. O forse al rifugio per minorenni ci sei già stato e sei anche già scappato perché il primo giorno i ragazzi più grandi ti hanno picchiato e il secondo giorno il tuo cellulare è sparito, togliendoti l’unico mezzo che avevi per orientarti, chiamare casa e organizzare il tuo viaggio.
Allora capisci che è normale se non mi voglio fidare.
Si scava la convinzione di essere stati fregati, si acuiscono i sensi e si è sempre sul chi va là. Si inacerbisce la determinazione nell’intento di passare, cercando di mantenere il massimo della dignità di cui ci si sente spogliare ad ogni istante. Impari in fretta a più o meno discernere, ma la sensazione di base è la diffidenza. L’abitudine aiuta, vedere sempre le stesse facce tra chi ti aiuta e chi no permette di essere più sicuro delle tue scelte, ma a volte capita anche che ti sbagli, che non ti fidi quando avresti dovuto, forse per il freddo, per la stanchezza, per la frustrazione, e allora ti lasci sfuggire grandi opportunità che mai pensavi avresti potuto avere. Il giorno dopo scopri che quelli ce l’hanno fatta, la barca ha funzionato, oppure che il tir è arrivato a destinazione. Ma tu non ti eri fidato.
Ma come si fa a fidarsi?
Se ti comporti bene, se segui le regole, che siano quelle indette dalle istituzioni o dalle organizzazioni umanitarie, il più delle volte sarai fregato. In coda per recuperare scarpe o coperte, a volte sarai fregato dai tuoi compagni di sventura più svelti e attaccabriga di te, da chi è lì da più tempo e sa come e dove muoversi. Sarai fregato dalle istituzioni, che vorranno a tutti costi prendere le tue impronte digitali o per lo meno verificarle, cercando di convincerti che quello è il modo più rapido e sicuro di ottenere lo status di rifugiato e quindi di accedere ai benefici di cui si vanta il continente dei diritti umani.
Ti fidi, e ti trovi in campi profughi o nei centri sovraffollati in Grecia o in Italia, ogni giorno vivi di razioni di cibo in baracche o tende malmesse, in condizioni pericolose e insalubri aspettando che il mondo si ricordi di te. Nel migliore dei casi riesci a fare due soldi aiutando altri ragazzi a passare al paese successivo, collaborando con la rete degli spostamenti di migranti, sperando di racimolare abbastanza per riuscire ad attraversare gli ultimi confini che ti separano dalla tua meta. Capita anche di finire nelle mani di trafficanti di uomini o di droga e perdere del tutto fiducia nell’umanità, se non addirittura la vita. Oppure, se ti fidi delle istituzioni, potresti trovarti per strada con in mano una valigia e un pezzo di carta che ti riconosce come soggetto vulnerabile che ha diritto di asilo, ma senza un posto dove dormire. Se ti fidi, prenderai uno di quegli autobus anonimi che aspettano parcheggiati dopo uno sgombero e su cui ti hanno detto di salire, per poi essere lasciato nel mezzo della campagna a qualche ora di distanza da dov’eri prima.
Cosi, naturalmente, impari a farti valere, perché molti dei tuoi compagni sono già depressi, ma tu, tu non dimentichi mai perché sei in viaggio, e questo ti fa andare avanti, cercando di fidarti poco ma bene, cosciente delle tue priorità in termini di sopravvivenza e attento alle opportunità che ti passano davanti.
Spesso semplicemente non hai scelta e così smetti di chiederti se sia meglio fidarsi o meno, lasciando alla speranza il poco spazio lasciato libero dalla paura.
Per maggiori informazioni sulla situazione dei rifugiati nel nord della Francia, visitate il sito di Care 4 Calais o gli altri articoli sul tema che troverete su Margeye.