FEBBRI TROPICALI E ALITI VITALI
Le avventure di Maggie Mee
“There is grandeur in this view of life, with its several powers,
having been originally breathed into a few forms or into one; and that,
whilst this planet has gone cycling on according to the fixed law of gravity,
from so simple a beginning endless forms most beautiful and most wonderful
have been, and are being, evolved.”
― Charles Darwin, The Origin of Species
Quando finalmente Maggie Mee apre gli occhi e sente di poter muovere anche le ossa dopo giorni di temperature alle stelle e deliri febbrili, la mente e’ ancora in stato di confusione, e l’unica cosa che le appare chiarissima nel suo primo momento di lucidità’ e’ la malefica somiglianza tra febbri e piogge tropicali. Quando cominciano, fitte e scrosci non lasciano spazio per altro, assorbono tutta l’energia e attenzione. Mentre imperversano, l’unica cosa e’ mettersi al riparo e aspettare che facciano il loro corso. Quando finiscono, quando gli occhi si aprono e il corpo non e’ più’ dolorante o uno scorcio di sole e arcobaleno fanno apparizione dopo giorni di tempesta, la luce tanto attesa illumina un paesaggio devastato e da ricomporre. Ecco, Maggie Mee, alzandosi dal letto e trascinandosi svogliatamente davanti allo specchio, si sente un po’ come una spiaggia dopo uno tsunami, come una capanna trascinata nel fango da giorni e giorni di piogge torrenziali.
– C’e’ poco da fare la fricchettona ambientalista – sbotta Maggie Mee osservando il suo viso smunto dalla malattia e il mucchietto di ossa che si ritrova sotto il vestito che puzza ancora di sudore da febbre. – bastarde zanzare mutanti. – Se prima, ingenua, Maggie Mee si meravigliava per la velocità’ con cui questi esserini minuscoli e fetenti si adattano a ogni condizione e farmaco, ora e’ lei a voler mutare geneticamente per diventare totalmente inappetente a qualsiasi pungiglione. Maggie Mee si perde un attimo a riflettere sulle zanzare, animali bastardi ma vittime anche loro perché’ spesso obbiettivo di maledetti parassiti che trasmettono, tanto per dirne una, la malaria. Fortunatamente Maggie Mee non e’ stata punta da una graziosa portatrice di Plasmodium falciparum, ma i recenti ricordi di crampi e dolori le fanno immediatamente provare forte empatia con il miliardo di persone che ogni anno sono alle prese con quest’orribile malattia. Analogie tra i percorsi migratori degli esseri umani e la diffusione della malaria, così’ come le scoperte riguardo lo sviluppo di resistenza ai farmaci, suggeriscono che le mutazioni genetiche dei parassiti avvengono regolarmente. La storia intrecciata millenaria tra l’evoluzione del P. falciparum e quella dell’uomo rivela come l’uomo e i parassiti della malaria abbiano una relazione basata su dinamiche genetiche; a turno, ognuno sviluppa mutazioni per avere la meglio sull’altro. Una guerra a colpi di DNA, una lotta genetica sofisticata e insidiosa, per riassumere forse esageratamente il complicato processo.
Maggie Mee ferma subito i pensieri, temendo siano strascichi dello straparlare indotto dalla febbre. Un lungo respiro e ancora non ci può’ credere di poter respirare a pieni polmoni senza problemi. Il gesto spontaneo era diventato faticoso ed ora ne vuole di più’. Ad ogni respiro sente forza vitale che piano piano si riappropria di lei. Dopo essersi sentita come un canguro colpito da un camion su un’autostrada, e’ normale che avverta anche la minima sensazione di benessere come un dono del cielo. Avendoci quasi lasciato le penne, avendo visto vacillare pericolosamente la fiammella che la mantiene in vita, Maggie Mee e’ ora più’ che interessata ad alimentarla perché’ da fievole e tremolante diventi un caldo fuoco scoppiettante per scaldarsi i piedi e su cui arrostirci due spiedini. La sensazione di calore ed equilibrio che si diffonde nelle sue ossa stanche le conferma sulla sua pelle che l’innata lotta per la sopravvivenza si manifesta anche negli umani, esseri arroganti affetti da sicurezza di onnipotenza. Maggie Mee trova grinta in un corpo sfinito; improvvisamente di nuovo ricettiva alla vita dopo giorni in cui era “più’ di la’ che di qua”, avverte una forza istintiva e inspiegabile che la sostiene e la tiene in braccio sussurrandole nelle orecchie parole di conforto. Ogni porto franco ha le sue insidie, le sue delusioni e i suoi dolori e vale quindi la pena andarsi a fare un giro. E’ stagione di fragole e l’unica cosa che Maggie Mee ora vuole e’ farsene una scorpacciata guardando il paesaggio.
La malattia ha già’ lasciato posto alla curiosità’ e Maggie Mee raccoglie quindi i suoi stracci. Eccola quindi a sgranocchiare biscotti disgustosi e scaduti da tempo mentre aspetta che un pulmino scassato che continua a riempirsi all’inverosimile si schiodi dal parcheggio marcio di una stazione spersa nel nulla.
-Viste le circostanze – si dice – prima di ributtarmi nel mondo sarà’ meglio che ritrovi un po’ di forze. – Magari – aggiunge speranzosa – nella ricerca dei supporti mancanti scoprirò’ anche il segreto dietro quest’alito di vita, tanto tangibile e reale quanto etereo e sfuggente.
Trepidante per la nuova avventura che l’aspetta, si butta in peregrinazione verso la giungla alta e fredda per onorare il soffio vitale che la tiene in vita e per vedere se c’e’ un trucco per mantenere la fiamma sempre accesa e viva. Sembra un po’ un controsenso che l’istinto di sopravvivenza l’abbia portata su strade tortuose a bordo di mezzi guidati da pazzi fulminati dove ogni curva superata indenni e’ da considerarsi un miracolo. Chiude gli occhi per non vedere i resti di rovinosi incidenti stradali lungo il percorso che la guardano sghignazzando come teschi nel deserto avvicinandosi così, senza rendersene conto, all’importanza relativa dell’unico tesoro che custodiamo in noi dalla nostra nascita alla nostra morte: la vita.
Si sale, si sale. Si aprono valli e si rivelano montagne. La giungla la accoglie come una nonna grassa e sorridente che non vede da tempo. La stringe forte, facendole scricchiolare le ossa e la sua stretta solleva da terra la piccola Maggie Mee. “Bentornata!” Le dice sorridendo. “Ora vediamo di mettere su un po’ di ciccia su queste ossa!” E nonna giungla entra in cucina muovendo le anche, aggraziata come una foca.
Questa volta Maggie Mee ha scelto la giungla d’altitudine come destinazione e, lasciando dietro di se’ palme da cocco e afa perenne, si lascia portare su strade che serpeggiano tra distese di piantagioni di Hevea, gli alberi della gomma. La vista delle colline tagliate ordinatamente dalle file composte di alberi dal tronco chiaro, ognuno con l’apposito recipiente che raccoglie il bianco vischioso che poi diventerà’ un giocattolo scadente o un preservativo stretto, le fanno notare quanto la giungla dev’essere stata più’ grande, più’ folta e più’ violenta. Salendo, non sono alberi secolari, ma freschi cespugli di bamboo che gradualmente si addensano diventando giungla. Maggie Mee chiude gli occhi e lancia una preghiera silenziosa alla foresta scomparsa. I larghi tronchi di bamboo sono abbastanza leggeri per muoversi al soffiare del vento e la musica prodotta dal fruscio degli alti cespugli di tutte le sfumature di verde diventano subito una cassa amica.
L’obbiettivo di Maggie Mee, dopo quello di riempirsi la pancia, e’ provare a capire che cosa si intende per “vita”. “Cosa ‘azz e’ la vita?” Parola sulla bocca di tutti, quattro semplici lettere racchiudono un significato che viene da sempre districato a suon di manipolazioni e minacce, a colpi di frusta e sdolcinate poesie che di vita ne sanno ben poco. Eppure, la vita e’ tutto quello che conosciamo. E, anche li’, – si dice Maggie Mee – non e’ che ne sappiamo poi tanto. – Non esiste infatti una definizione della parola “vita” che sia universalmente accettata.
Per smania di conoscenza, arrivata nel villaggio ai piedi della vallata, ecco Maggie Mee che istintivamente cerca subito un luogo, un centro, un qualcuno o qualcosa che possa darle degli indizi per quella che ormai e’ diventata una ricerca. Non del significato della vita, che sia ben chiaro, ma del soffio di vita che tiene tutto in piedi.
Il villaggio e’ abbastanza anonimo, abitato e frequentato da esseri umani dagli occhi di forme diverse che si osservano pacifici. Entrambi i gruppi principali, i locali e gli stranieri, sono ancora avvolti nella nube di fascino da esotismo che ancora non si e’ dissipata per svelare uno scambio solo e unicamente basato sul cash. In questo posto, nota Maggie Mee, i turisti si autodefiniscono “viaggiatori consapevoli” e i locali non hanno ancora imparato le diverse sfaccettature che può’ avere un sorriso. Sorridono o fumano pipe d’oppio a bordo strada osservando il traffico. Stupa arroccati sulle colline indicano i punti cardinali e sono uno dei pochi punti di riferimento in distese di risaie alternate a piantagioni di Hevea. Fine. Non c’e’ altro.
Valanghe di bambini, bufali pensierosi, maiali selvatici seguiti da prole e chiocce circondate da decine di minuscoli pulcini denotano abbondanza di attività’ riproduttiva. Maggie Mee si accorge che anche le magliette dei cosiddetti viaggiatori mandano lo stesso messaggio universale presente ad ogni latitudine e in ogni cultura. Da queste parti la maglietta con la scritta “Save water, shower with me” si sostituisce a “Fuck me, I am famous” e, per quanto celata da animo ambientalista, l’intenzione di chi la indossa e’ poi la stessa: smania di accoppiamento. Il famoso istinto di riproduzione che da’ l’impressione di mantenersi in vita e di dare continuità’ alla nostra, di vita.
In un ristorantino polveroso a bordo strada, Maggie Mee nota un personaggio in abiti kaki intento a compilare fogli e fogli di parole scritte in latino e subito capisce che potrebbe esserle utile intavolare una conversazione con questo sconosciuto dall’aria scientifica. -Dato che una definizione universale di vita non esiste- si dice, -per essere politicamente corretti comincerò’ la mia ricerca da come la definiscono gli scienziati che studiano la vita. “La vita”, comincia lo sconosciuto poi rivelatosi esperto del mondo vegetale, “e’ quello che in vita non e’” conclude con aria saccente ma mortificata perché’ affetto dalla paranoia degli scienziati di non saper spiegare tutto. “Ah beh, grazie tante!” scappa di bocca a Maggie Mee. Il botanico alza gli occhi al cielo, fa un lungo respiro per non mangiare la faccia della femmina striminzita e curiosa che lo assilla di stupide domande, si sistema gli occhiali sul naso e ricomincia con tono pedagogico. “Quello che intendiamo, e’ che usiamo criteri precisi per affermare se un essere e’ vivente o non-vivente. La scienza si attiene a questo”. Maggie Mee ascolta interessata, ma dopo poche parole si rende conto che, fondamentalmente, per verificare che un essere sia vivo, si guarda se questo passa l’esistenza ad assorbire energie a destra e a manca e se ha un corpo che denota un minimo di organizzazione. Lo chiamano equilibrio, la chiamano fame/sete e appetito sessuale. La morte e’ un altro tratto che distingue chi e’ vivo. Chi e’ vivo prima o poi muore. Chi non e’ vivo ha il dono dell’eternità’. -Come la plastica, ad esempio- sfugge di bocca a Maggie Mee. Lo stupido commento e’ troppo per il biologo, che si alza e se ne va, lasciando Maggie Mee in preda a un minimo di sconforto.
La risposta del biologo non ha soddisfatto la sua domanda e, per schiarirsi le idee, Maggie Mee decide prendere la bici e addentrarsi nella riserva naturale in cui si e’ andata a ficcare. Spera che la natura più’ pura le parli meglio di un umano incontrato per caso, confida che la potenza del vento e la rigogliosità’ del mondo naturale possano darle indizi più’ appaganti per la sua ricerca. Dopo aver pedalato un po’, Maggie Mee scende dalla bici e fa due passi per sgranchirsi le gambe lungo il ruscello che attraversa il bosco. Si ferma su una roccia per farsi scaldare dal sole e si abbandona ad osservare la frenetica attività’ che la circonda. Il quadretto e’ molto bucolico. Acqua che scorre, libellule che ronzano, farfalle che svolazzano e voila’. In una pozza di fianco a lei, tra grappoli di uova di rana che galleggiano nell’acqua stagna, una mosca e’ voracemente intenta a farsene una scorpacciata o, forse – dubita per un attimo Maggie Mee – ad affogare. Si alza, continua a camminare e, dietro un cespuglio, su un’altra ansa del ruscello, si svela un luogo d’incontro. Decine di farfalle volano e si posano insieme per terra. Sono divise a gruppi dello stesso colore e dimensioni. Una decina di coppie minuscole azzurre, qualche coppia di Mormone comune e altre già’ viste dalle ali enormi e striate. Si ferma e rimane in piedi, immobile, ad osservarle. Le farfalle agitano le ali e sfregano freneticamente le antenne le une contro le altre e il solo guardare questo movimento regolare, veloce e continuo la manda in trance come se i feromoni emessi dalle decine di farfalle in contatto nello stesso momento inebriassero anche lei. Dopo pochi minuti di contatto fisico e pausa dal volo, le farfalle si levano da terra e cominciano a svolazzare a coppie in un volo velocissimo circolare. Maggie Mee si ritrova avvolta da una nube di farfalle colorate in botta post-accoppiamento.
La vista di farfalle colorate che si accoppiano in massa davanti a lei, l’essere avvolta da un nugolo di vita che si riproduce svolazzando la riempie di gioia incomprensibile e inaspettata e Maggie Mee si ritrova a sorridere per il simbolismo spiccio di quest’incontro. A maggior ragione che le farfalle sono animali che non vivono che per qualche giorno e l’evento a cui ha assistito e’ probabilmente l’unico “evento clue” della breve esistenza di questi bellissimi e delicati insetti.
Maggie Mee inforca nuovamente la bici ed ecco che si sente già’ ambientata e in lenta guarigione. Guance scavate e bianche hanno preso il colore del tamarindo e le braccia ossute si gonfiano e prendono forma ad ogni pedalata. Il soffio di vita c’e’ e la tiene su. Sospesa nella presa bene, pedala tra distese i risaie e piantagioni, ogni metro e’ un passo in più’, un passo calcato nella tangibilità’ dell’esistenza emanante da quest’alito energetico ancora incomprensibile e irriproducibile. Maggie Mee e’ sorpresa della casualità’ dell’incontro con le farfalle, ma e’ forse ancora più’ piacevolmente sorpresa di vedere che e’ il suo corpo, che ieri non la reggeva, a mantenerla in equilibrio su un aggeggio pericolante come una bicicletta. L’equilibrio ambito e temporaneamente raggiunto e’ ancora protetto da un velo di mistero che fa arrendere all’impotenza e all’estrema vulnerabilità’. Ma, nella realtà’, sono le piante dei piedi e il ritmico muoversi delle sue gambe che mantengono la magia energetica. Non ha forse alzato il velo su che cosa e’ questa forza vitale, ma per lo meno la sente vibrare dentro di se’. – Secondo le parole del biologo, – si dice con sollievo – sono quindi viva. E il mio alito di vita non e’ che un tratto distintivo che mi accomuna tutti gli altri esseri viventi. Niente di più’, niente di meno. – E subito, mentre con la bici prende a tutta velocità’ una discesa, sente istinto di protezione verso quest’alito, sente che la vita e’ onorare il soffio energetico che la mantiene in piedi.
“Fateci nascere dolcemente e scoprire con calma
l’importanza della forza vitale ed innata che si chiama vita.
Soprattutto, fateci morire in pace,
lasciate che l’alito di vita si unisca al vento,
non costringetelo a restare soffocato in un corpo ospite
che lo ha già’ onorato.
Il soffio vitale fuggirà’ comunque per creare altra vita.”
-Anonimo-