SEGNALI DI FUMO
Pubblicato su La Stampa
Non è la prima volta che spessa nebbia copre i luccicanti palazzi di Singapore, lasciando nell’aria un fastidioso odore di bruciato. Nonostante l’ambiente cittadino tropicale, non è nebbia dovuta a umidità eccessiva o inquinamento urbano, ma caligine, foschia dovuta agli incendi nelle foreste indonesiane.
Sumatra brucia e fino a Singapore non si respira, l’indice PSI (Pollutant Standards Index) sale a vista d’occhio e tocca i livelli di guardia nel weekend, per poi superarli con l’inizio della settimana. Il valore limite di 100 PSI è stato gradualmente raggiunto a mezzogiorno di lunedì ed è salito a 155 in serata, segnando il record degli ultimi 15 anni. L’indice PSI è un codice standard delle emissioni inquinanti utilizzato per misurare la qualità dell’aria che mette in relazione la concentrazione delle sostanze con gli effetti sulla salute. Un indice PSI sopra i 101 indica aria insalubre ed è scattata l’allerta del NEA, l’ente singaporiano per l’ambiente, che consiglia alle persone maggiormente sensibili quali anziani e bambini di evitare l’esposizione prolungata, mentre medici danno indicazioni sulla mascherina migliore per proteggersi dalle sostanze nocive nell’aria.
Il fenomeno non è una novità; regolarmente ondate di fumo e ceneri legate agli incendi che si verificano nelle foreste indonesiane raggiungono la “città leone” e la Malesia, formando opache coltri di nebbia che punge il naso, pizzica gli occhi e brucia i polmoni, rilasciando nell’aria emissioni dannose per la salute. Gli episodi più gravi risalgono al 1997, quando incendi a Sumatra e Kalimantan procurarono un vero e proprio disastro ambientale; oltre 6 milioni di ettari di aree forestate vennero distrutte producendo oltre un miliardo di tonnellate di emissioni di carbonio e provocando un indice PSI record di 226 a Singapore e riduzione della visibilità e gravi problemi di salute in gran parte del sudest asiatico. La causa principale è da attribuire a incendi delle foreste torbiere, vaste zone coperte di materia vegetale parzialmente decomposta che, quando secca, diventa particolarmente infiammabile. La combustione rilascia massicce quantità di carbonio nell’atmosfera e rende queste aree, di cui l’Indonesia è ricca, coltivabili.
Fonti ufficiali riferiscono che l’attuale ondata di caligine su Malesia e Singapore è dovuta a “hotspot activities”, (letteralmente: attività in zone calde/sensibili, ma correntemente usato per definire focolai di incendi) riportate a Sumatra centrale, evitando qualsiasi riferimento a tipo e causa dell’evento. Diplomaticamente ci si riferisce a incendi dolosi senza menzionarli, focalizzandosi sugli effetti meteorologici immediati: si informa la popolazione che la situazione, per via dei venti secchi da sud-ovest, persisterà per alcuni giorni, disturbando la visibilità e gola e occhi delle persone più sensibili. Tuttavia, nelle conversazioni in città e online, la polemica imperversa. Si parla ai tavolini dei kopitiam (baretti di quartiere) e accese discussioni su blog puntano il dito contro la totale assenza di dibattito sui mezzi di comunicazione locali, impegnati ad offuscare la popolazione con valori di indici standard e acronimi di agenzie governative invece di mettere in luce le cause del disastro ambientale in corso di cui, di fatto, non e’ stato reso noto nessun dettaglio. “Ovviamente non sappiamo chi sono i responsabili, ma gli incendi dolosi sono il metodo tradizionale e più economico per espandere la terra coltivabile” ha dichiarato Suryana Sastradiredja, rappresentante del settore informazione e affari sociali e culturali all’ambasciata indonesiana a Kuala Lumpur, presentando la situazione come la ciclica e ormai abitudinaria distruzione di ettari di foresta primaria ad opera di contadini e proprietari terrieri locali, senza menzionare perché possano agire indisturbati. Storicamente, infatti, tali incendi sono stati spesso causati volontariamente al fine di aumentare l’area delle piantagioni, addossando la riduzione delle foreste primarie a “cause naturali”. I bloggers accusano le autorità e le fonti di informazione ufficiali di evitare il dibattito per non esporre i grandi produttori di olio di palma e i massicci investimenti governativi. Sostengono non sia unicamente responsabilità dell’Indonesia, ma anche di Malesia e Singapore, visto che le principali aziende attive nel settore, particolarmente importanti economicamente, sono originarie e fanno gli interessi economici di questi due paesi ora invasi dal fumo. Voci mormorate a tavola, negli uffici e sul web pongono l’accento sulla mancanza di trasparenza e che, nonostante i vari accordi e norme in vigore, venga chiuso un occhio per permettere a quest’enorme e cruciale settore di crescere indisturbato.
Con la stessa non-chalance, la vita continua veloce in queste città in costante e forte sviluppo e, mentre la pesante foschia sale e la popolazione indossa mascherine e fa foto al nebbioso profilo cittadino, le uniche notizie della rapida e continua distruzione di ettari ed ettari di foreste arrivano via segnali di fumo; sono gli occhi lacrimanti e gonfi come palline da golf a ricordarci la vicinanza con uno degli (ex?) polmoni della terra.
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