Un cantiere.
Un parcheggio che diventa platea; spettatori seduti su gradini sporchi e puzzolenti di piscio e avanzi di cibo e in piedi, appollaiati su qualche appoggio, mani in tasca, cappucci e scarpe da ginnastica. Gli spettatori guardano fisso davanti a loro, in alto, sguardo rivolto verso un muro grigio e malandato che piano piano prende colore, forma soprattutto. Forma e dettagli, contorni si delineano a un ritmo serrato, più veloce di quanto pensassi potesse succedere.
Gli spettatori cambiano, il pubblico è mobile e mutevole. Non sono curiosi, quanto interessati. Ore a muoversi nel parcheggio, ma in realtà fermi imbambolati davanti a un muro. Facce e numeri cambiano, ma lo sguardo rimane fisso in alto, mani in tasca. Qualche parola qua e là scambiate a lato pista, mentre pullman di linea appena usciti dall’autolavaggio fanno manovra ad alta velocità grondando acqua e lasciando larghe scie bagnate per terra.
La vita della stazione dei bus prosegue imperterrita. Ritmi di attese, arrivi e partenze.
Personaggi ambigui, ragazzini con zaini di scuola, poi uomini in divisa e, nel tardo pomeriggio, donne delle pulizie che salgono su ogni pullman parcheggiato armate di bastoni, secchi e stracci. Al muro, invece, al muro oggetto dell’osservazione attenta di un pubblico vario e diverso, si è armati di bastoni, secchi e pennelli. Mezzi autosollevanti vanno su e giù al “semplice” tocco di un tasto e si imbianca, si colora, si dipinge. Il parcheggio prende colore e riprende identità.
Foto scattate da ogni angolo e qualsiasi inquadratura; diaframmi si aprono e si chiudono, obbiettivi di varie lunghezze e dimensioni tentano di catturare il processo di creazione che sta lasciando tutti a bocca aperta, ma è la sequenza che rende di più. Il tratto preso sul lungo, il work in progress catturato dalla serie di scatti in successione.
Il processo e la magia della creazione, la produzione artistica si mostra senza veli, sotto gli occhi di tutti, in tutto l’atto. Tutto alla luce del sole in ogni tappa.
Eppure, nonostante il processo sia incredibile, non è quello il fulcro dell’operazione. Il fulcro sono l’idea e il risultato. Il risultato che subito diventa simbolo, icona, rappresentativo di un luogo. Diventa che quel muro è sempre stato dipinto. Diventa che l’identità creata con un tratto durato tre giorni cancella in un attimo l’assenza di identità durata anni e caratterizzata da un muro grigio, triste e spoglio. Diventa che è ormai da sempre che nella stazione dei pullman di V. Fiochetto i personaggi di Erica Il Cane attendono seduti su una panchina.
Grazie al Cerchio e le Gocce – https://ilcerchioelegocce.wordpress.com/2010/10/10/picturin-il-torino-mural-art-festival-e-cominciato/