Alla fine del XIX secolo la Deli Planters’ Association, la lobby degli europei proprietari delle piantagioni in Indonesia, commissionò al fotografo C.J.Kleingrothe un servizio per documentare l’espansione delle piantagioni nella foresta vergine di Sumatra orientale. La lobby fu creata nel 1879 per influenzare le politiche in materia di risorse forestali e promuovere gli interessi delle piantagioni e immagini come “Road through the virgin forest” (Strada attraverso la foresta vergine) servivano ad immortalare l’inizio dei grandi lavori infrastrutturali che avrebbero cambiato per sempre il volto del paese.
Da simbolo del progresso e motivo di orgoglio della potenza coloniale, oggi quella foto e’ diventata sinonimo di distruzione e segna l’inizio di un percorso che ha innalzato l’Indonesia tra i principali fornitori mondiali di materie prime pregiate quali legname e carta, gomma, petrolio, caffè, pepe e olio di palma, ma che allo stesso tempo ha provocato la distruzione di ettari di foresta tropicale facendo guadagnare al paese il primato come terzo maggior produttore di gas a effetto serra, dietro a Usa e Cina.
Poco più di cent’anni dopo, lo stesso paesaggio battuto da Kleingrothe nel corso dei suoi reportage, viene descritto come coperto da “stralci di foreste alternate a distese di piantagioni”. Di fatto, prima dell’epoca coloniale il 90% del paese era coperto da foreste. Un rapporto dellaFao indica che nel 1950 in Indonesia vi erano 162 milioni di ettari di foresta, contro i 120 milioni di ettari attualmente considerati area forestale dal Ministero delle Politiche Forestali. Il tasso di deforestazione continua ad essere altissimo – circa 2 milioni di ettari l’annoufficialmente dichiarati dal governo – ed e’ principalmente dovuto al taglio illegale di legname per l’esportazione, ma anche alla conversione in piantagioni per la produzione di olio di palma e di legname per cartiere, due settori chiave per l’economia del paese.
L’inizio del 2011 coglie l’Indonesia in un momento cruciale. Dopo l’impegno del presidente Susilo Bambang Yudhoyono di ridurre le emissioni del 26% entro il 2020 e la firma, nel maggio scorso, di una lettera di intenti con il governo norvegese per sostenere il programma di riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado forestale nelle nazioni in via di sviluppo, meglio conosciuto come REDD+, il governo indonesiano si dice pronto a passare ai fatti.
L’accordo con la Norvegia prevede lo stanziamento di un milione di dollari americani per finanziare una strategia ad ampio raggio che includa i vari livelli e settori coinvolti nella questione della deforestazione. A settembre e’ stata formata una taskforce speciale per l’applicazione della lettera di intenti. Inizialmente, come dichiarato da Kuntoro Mangkusubroto, capo della taskforce REDD, il lavoro si focalizzerà su una regione pilota per poter monitorare meglio l’avanzare del programma. Dopo un lungo processo di selezione, come regione pilota e’ stata sceltaKalimantan Centrale, parte di una delle isole più grandi dell’arcipelago indonesiano che, con Sumatra e Papua, forma una delle aree forestali più importanti del pianeta.
Ad Oslo il governo indonesiano si e’ anche impegnato a sospendere per due anni tutte le nuove concessioni per la conversione delle torbiere. La costituzione del 1945 infatti prevede che nonostante le aree forestali appartengano allo stato, la proprietà può essere temporaneamente riassegnata tramite concessioni speciali parte dei cosiddetti “Hak Pengusahaan Hutan” (diritti per lo sfruttamento delle foreste), prassi che negli anni ha prodotto molte controversie riguardo all’assegnazione e all’uso di tali concessioni.
Nonostante il dichiarato impegno governativo, lo scetticismo e’ alto. Fitrian Ardiansyah, consulente di WWF Indonesia, sottolinea che, essendo settori quali l’agricoltura, le politiche forestali, l’energia o le infrastrutture gestiti da ministeri e enti governativi diversi (a livello del governo centrale e regionale), nel corso degli anni sono state prodotte politiche contraddittorie che ora complicano ulteriormente il tentativo di concepire un’unica strategia per affrontare la questione. A questo si aggiunge la mancanza di una definizione chiara del termine “foresta” in molta della legislazione nazionale – come denunciato appena lo scorso dicembre dalla Commissione Nazionale contro la Corruzione (KPK).
Secondo il KPK, la divisione delle responsabilità nella determinazione delle aree protette e nell’assegnazione delle aree destinate a piantagioni non e’ sufficientemente chiara e l’ambiguità della definizione crea un vuoto legale che ha permesso e continua a permettere pratiche di disboscamento illegali.
La diversificazione dell’economia e’ un’altra questione fondamentale da affrontare nella lotta alla deforestazione. L’Indonesia è uno dei primi produttori mondiali di olio di palma, con circa 20 milioni di tonnellate annue e la carta, la gomma e il petrolio continuano ad essere prodotti fondamentali per l’economia del paese, dando lavoro a milioni di persone. Inoltre parte della popolazione locale continua a basare la propria sussistenza sullo sfruttamento delle risorse forestali legate all’agricoltura e le pratiche agricole “slash and burn” (taglia e brucia) sono ancora molto diffuse.
Sono stati avviati numerosi programmi di sensibilizzazione gestiti da Ong e enti locali introducendo il sistema “Hutan Kerakyataan” (SHK, o gestione comunitaria della foresta) per promuovere una gestione forestale che permetta il coinvolgimento diretto delle comunità locali e allo stesso tempo proponendo alternative che permettano un utilizzo consapevole delle aree forestali per ridurre la deforestazione senza aumentare la povertà. Ma nonostante il successo di molti progetti, si tratta di un processo molto lento.
Dai tempi delle foto di Kleingrothe le “strade attraverso la foresta vergine” si sono moltiplicate e si è radicata l’influenza delle aziende che si occupano di prodotti derivanti dallo sfruttamento delle foreste. Le misure del governo e l’appoggio economico internazionale segnano una svolta, ma le problematiche strutturali ed economiche sollevate dalla concretizzazione del REDD+, l’elevato numero di incendi dolosi oltre che gli ostacoli affrontati da attivisti ambientalisti e giornalisti impegnati in servizi sulle piantagioni lasciano supporre che il percorso sarà ancora molto lungo e laborioso.
Pubblicato su Greenews