Nonna e’ anziana, ma non e’ vecchia.
Nonna ha una data di nascita che ha dell’incredibile se la si paragona
con la media mondiale, ma non ha rughe.
Nonna e’ bella.
Nonna ha una vita sessuale e sociale, il sorriso bianco e splendente e
sempre voglia di imparare.
Nonna ha piu’ di uno stipendio che le arriva regolarmente in banca
anche se non lavora da anni e quando va in farmacia non spende quasi
niente.
Nonna fa mille viaggi ed e’ spesso in una delle sue molte case; al
mare, al lago o in montagna, a seconda delle stagioni.
Nonna e’ bella.
Nonna e’ giovane.
Nonna non e’ neanche a meta’ della sua vita.
A Nonna per posta arrivano informazioni e consigli per vivere meglio e
piu’ a lungo; basta una telefonata o una mail per prenotare visite nei
centri medici migliori del paese, dove verra’ eventualmente operata
con mille riguardi e zero spese.
Nonna ha due lauree e per lei e’ normale.
Nonna ha due lauree e nessun debito, lei ha pagato tasse tutta la vita.
Nonna ha due lauree, soddisfazioni di una carriera professionale
brillante e figli e nipoti che non ha trascurato.
Nonna e’ rinata a 40 anni, si e’ fatta una nuova vita a 50, a 60 era
un fiore e quando ne ha compiuti 70 si e’ inventata nuove occupazioni
per non morire di noia.
Nonna ha tanti hobby, mille obbiettivi e sempre nuove ambizioni. E le
soddisfa sempre tutte.
Nei suoi occhi grigi c’e’ pero’ un velo. Io lo vedo. Da qualche tempo
la vedo diversa, non so cosa l’ha presa. Ma quel che l’ha presa, l’ha
presa in pieno; piu’ di un ceffone, piu’ di uno sgambetto. Ha un peso
in testa che le da’ la nausea e la rende un po’ aliena. Lei, sempre
cosi’ presente. Allora le chiedo perche’.
-Nonna, cosa ti acceca? Cosa offusca te che sei bella e sei forte, che
sei vecchia ma sei giovane, che sei sveglia, ricca e intelligente?
Lei sospira e mi guarda. Gli occhi sono grigi, ma ancora vedono lontano.
“Abbiamo voluto troppo.” Mormora.
E poi comincia, ed e’ un fiume in piena.
-Tesoro, quel che mi acceca e’ la mia arroganza.
E’ l’ arroganza di chi pensava che le proprie lotte sarebbero bastate,
che il benessere ottenuto dopo tante sofferenze non potesse sfumare.
Quel che mi acceca e mi fa star male e’ vedere i figli a cui ho potuto
dare mille stimoli ed opportunita’ schiacciati da un sistema costruito
da me e dai miei pari, e’ vedere la dignita’ in cui ho creduto essere
calpestata come una cimice puzzolente o una mosca molesta.
E’ l’arroganza di chi pensava di aver “risolto” ad accecarmi e farmi vergognare.
Io che pensavo di aver salvato il mondo, ho salvato appena me stessa e
ho scavato la tomba al frutto della mia carne.
Ti giuro. Io ho agito in buona fede. Ti giuro, io non credevo sarebbe
finita cosi’. Ti giuro che ho lottato anche per te.
Abbiamo voluto troppo.
A Nonna scendono due lacrime. Poi deglutisce. Non piange spesso in
pubblico, ma quando le va, lo fa. E’ una donna che ha combattuto per
poter essere fiera di essere femmina senza dover nascondere i suoi
sentimenti. Le lacrime scendono, ma non intaccano la sua credibilita’
o reputazione: non per questo e’ meno forte.
Cosi’ mi avvicino e prendo le sue mani nelle mie, la guardo negli occhi.
-Nonna, raccontami della tua terra. Nonna, raccontami da dove vieni.
-Della mia terra e della mia gente, poco e’ rimasto.
Solo il fascino del mare trasparente e delle cime delle montagne
innevate, il canto delle cicale d’ estate e il bagliore dei campi di
grano. Il ricordo delle vie strette e ciottolate e dei palazzi
maestosi e trasudanti storia millenaria.
Mi ricordo quando malessere significava unione, tumulto e cambiamento
e non lamentele e rimpianti di anziani senza forze ne’ risorse
numerati da macchine e scatti impulsivi di giovani controllati da
terminali telematici.
Mi ricordo quando quello che vedo ora era nei libri e nei film di
fantascienza, quando il cinema e la cultura erano intrattenimento
stimolante e non bende patinate sugli occhi o lamentii di feriti e
impotenti.
Nonna si ferma, ha un sussulto.
-Non e’ crisi, e’ vergogna.
E’ il piscio di esseri invisibili ma onnipresenti sulle ossa e
dignita’ di un continente.
E’ la rivincita dell’ umanita’ nel suo essere sull’ arroganza di chi
credeva che gli esseri umani potessero essere superiori a bestie che
lottano per la sopravvivenza. Una corsa senza pieta’ che, in pausa per
una breve parentesi, torna a farsi spazio e infierisce. E’ la fame che
galoppa, la vita nuda e cruda che si sbellica dalle risate e si
scaccola grattandosi la pancia davanti a chi cerca di convincere se’ e
gli altri che l’uomo, in quanto animale sociale per eccellenza, e’ in
grado di coltivare e promuovere una società’ equa, perché’
l’intelletto lo eleva e lo rende nobile.
Nonna scuote la testa. “lo eleva….”, ripete.
-In realtà’ non e’ che la sua condanna.
Abbiamo voluto troppo.
Troppo bene. Volevamo stare troppo bene, stavamo troppo bene e non ci
siamo difesi abbastanza. Ci siamo uccisi con le nostre mani.
E’ doloroso; ma non tanto perche’ la caduta sia particolarmente
rovinosa -non siamo ancora alla fame, non ci rubiamo ancora i vestiti
l’un l’altro- ma cadiamo da troppo in alto per sperare di poter cadere
in piedi.
La guardo ammutolita.
Non mi puo’ crollare cosi’. Non puo’ spegnersi il faro che da sempre
mi guida e mi tiene.
Consapevole che non sia la mossa giusta, forse per abitudine, le
chiedo allora cosa devo fare, le chiedo l’ ennesimo consiglio, sapendo
di volermi abbeverare ad una fonte ormai secca.
– Ti direi di provarci e lottare anche tu, di combattere per
uguaglianza e rispetto di giovani e anziani. Ti direi di credere nella
nobilta’ dello spirito umano, nella vita e nella sua celebrazione. Ma
non posso. Non posso perche’ non ci credo piu’.
Potrei fare finta di niente e sperare di morire in fretta, anche se i
rimasugli del sistema messo in piedi da noi mi ridurra’ un vegetale
condannato a vivere in eterno senza piu’ poter gioire del mio corpo e
della mia mente. Ma l’indifferenza non la voglio adottare.
Ti direi di scappare, di abbandonare queste terre malate e di fuggire
altrove, di rifarti una vita dove la giungla del mercato libero, il
bigottismo religioso e l’assenza di coscienza politica permettono
ancora a pochi di vivere come noi volevamo vivessero tutti mentre la
moltitudine e’ ridotta a nuove e antiche forme di schiavitu’. Ma,
anche li’, tradirei i miei ideali ed agirei come quello che sono e che
spesso ho negato: una donna, una madre, un essere umano in lotta per
la sopravvivenza della propria stirpe.
Per cui non ti dico niente. Basta consigli, la mia arroganza ha gia’
fatto troppi danni. Ora la corsa e’ la tua, il tempo e’ il tuo. Mi
dispiace di aver voluto troppo anche per te.
“Abbiamo voluto troppo”, Nonna mormora tra se’.
E per la prima volta in vita mia la vedo vecchia.