Alla Madrasah di Gili Air, Lombok, è la festa di fine anno scolastico. Gli studenti delle classi miste della scuola che accoglie i ragazzini dagli undici ai tredici anni presentano davanti alle famiglie una serie di scenette e performances, intercalate da letture del Corano e discorsi istituzionali del direttore della scuola e dell’Imam del villaggio. L’ambiente è di festa, ogni ospite ha ricevuto all’entrata un pacchettino contentente dolciumi a base di riso e banane da sgranocchiare durante lo spettacolo e il cortile, dove è stato montato il palco e sono state sistemate le sedie per la platea, è tappezzato di addobbi di ogni tipo, dalle ghirlande di fiori alle foglie di palma.
Lentamente, arriva il pubblico: gruppetti vociferanti di famiglie allargate prendono posto per assistere alla cerimonia. L’atmosfera sembra confusa ma, man mano che la gente si sistema, dietro l’apparente disordine si nota un ordine ben preciso nella disposizione della platea che, di fatto, è nettamente separata in due.
Nonostante le classi siano miste e i ruoli di spicco nel corso dell’evento di fine anno siano distribuiti in modo abbastanza equilibrato, gli spettatori sono divisi tra uomini e donne. Gli uomini occupano la parte destra; molti con cappello tradizionale e sarong alla vita, fumano una sigaretta dopo l’altra. Le donne sono a sinistra; chiaccherano, sgranocchiano noccioline e osservano la scena, qualcuna ha il capo coperto, soprattutto le più anziane. I bambini fanno la spola tra un lato e l’altro dello spazio davanti al palco, per lo più corrono intorno e giocano tra loro.
La platea è nettamente separata ma per lo meno c’è rappresentanza di entrambi i sessi. Alle serate organizzate nei baretti sulla spiaggia o nei locali notturni delle isole limitrofe più grandi, a parte qualche turista, il pubblico è totalmente maschile. Decine e decine di uomini tra casse, consolle e bar. Qualche donna occidentale attizza l’orda di maschi ubriachi ed eccitati; l’isola trema per le vibrazioni sonore e le donne del posto sono praticamente tutte a casa. Le poche ragazze presenti sono accompagnate e tenute sotto stretto controllo dai vari mariti, padri e fratelli, non tanto per timore le ragazze possano comportarsi male, ovviamente, ma più che altro perché non vengano molestate dalla folla di uomini senza briglia.
Anche in Indonesia si ritrova il conflitto di emancipazione vissuto dal genere femminile e, ovviamente, la percezione dell’emancipazione femminile è diversa a seconda del gruppo sessuale a cui si appartiene. Nasir Tamara, giornalista indonesiano e autore di Indonesia Rising, un libro sul processo di democratizzazione in Indonesia pubblicato nella metà del 2009, sostiene che le donne sono ormai parte integrante del processo decisionale sociale e politico del paese. “Oggi, Il 30% dei deputati in Parlamento sono donne e anche alcuni ministeri importanti, come quello dell’economia, sono presieduti da donne. Non dobbiamo dimenticare poi che il nostro ex-presidente è una donna ! Le deputate indonesiane si stanno dimostrando molto attive nella promozione di legislazione a favore delle donne e si sono fatti passi da gigante nel campo dei diritti per l’uguaglianza di genere.”
L’ottimismo di Melanie Budianto, femminista e attivista per i diritti umani, è invece più velato. “Dalla caduta di Soeharto nel 1998 si sono registrati molti progressi, soprattutto nella possibilità di espressione. La breccia è stata fatta una decina di anni fa da una giovane scrittrice che, per la prima volta, ha raccontato il corpo femminile non in modo astratto o romantico, come era sempre stato fatto, ma dal punto di vista fisico, rompendo un enorme taboo. Molti scrittori si sono sentiti coinvolti e hanno cominciato a scrivere in modo più diretto riguardo alle questioni di genere.” Tuttavia, Melanie si dichiara preoccupata perché ultimamente c’è una nuova ondata di conservatorismo, cavalcata da alcuni gruppi religiosi estremisti che sostengono questi scrittori siano influenzati dai valori decadenti dell’occidente e che promuovano valori moralmente inaccettabili. “Esistono fattori pericolosi, come l’introduzione della Shar’ia in alcune zone del paese. Anche l’approvazione della legge contro la pornografia rischia di essere usata per limitare la libertà di espressione. Dobbiamo rimanere all’erta.”
Per la comunità LGBT indonesiana, nonostante stia ancora lottando per abbattere un’omertà dilagata, il processo di democratizzazione degli ultimi dieci anni ha avuto molti effetti positivi sulle loro rivendicazioni tanto che, come sostiene Dédé Oetomo, il coordinatore nazionale della rete gay Gaya Nusantara e uno dei membri del Consiglio dei rappresentanti delle organizzazioni per la lotta all’Aids nella zona Asia-Pacifico, oggi si può parlare di tematiche Lgbt e organizzare degli eventi senza dover guardarsi alle spalle. Inoltre, “Nelle associazioni per la promozione dei diritti umani, così come nella comunità LGBT si è finalmente riconosciuto che i diritti degli omosessuali sono diritti umani. La realtà poi è diversa, ma ci sono stati dei casi di aggressioni subite da omosessuali o transgender che sono stati affrontati come violazioni dei diritti umani. Ci stiamo arrivando e, a mio avviso, anche abbastanza rapidamente, se consideriamo che in Indonesia si può parlare di diritti umani apertamente solo da dieci anni. Diciamo che sia politicamente che socialmente si stanno facendo dei passi avanti. Lenti ma ci sono.”
In realtà, la situazione delle donne e della comunità Lgbt è tanto varia quanto è varia la stessa Indonesia in quanto a religioni ed etnie. In Indonesia vivono più di 230 millioni di persone e si parlano più di 700 lingue; esistono realtà come Bali, dove proliferano i locali notturni, i lady boy sono piuttosto accettati e le donne partecipano attivamente alla vita economica dell’isola e regioni come Banda Aceh, dove una recente proposta di legge prevede la pena di fustigazione per gli omosessuali (si rischiano fino a cento frustate e a otto anni di carcere) e la pena di morte per lapidazione per gli adulteri. Nell’isola di Sumatra esiste persino una comunità matriarcale, i Minangkabau, nella quale le donne controllano la sfera economica e sociale e dove sono gli uomini a trasferirsi nella casa della famiglia dopo il matrimonio e non il contrario.
Bali e le zone rurali dove è radicato l’Islam modernista rappresentano i due estremi, ma nessuna delle due realtà ritrae il cambiamento in corso nella società in generale. Probabilmente i cambiamenti più visibili si notano nelle zone urbane di media grandezza, società esposte alla crescita rapida del paese e agli stimoli internazionali ma ancora molto radicate nella cultura tradizionale, dove malgrado la crescente apertura riguardo alle possibilità di istruzione e di carriera delle donne, la vita delle ragazze continua ad essere strettamente regolate da regole e paure maschili.
La forza dell’Indonesia risiede probabilmente nella sua dinamica diversità e, come sostiene Melanie, la chiave perché il processo di emancipazione delle donne non si arresti è rappresentata dalla capacità di dialogo. Tolleranza significa confrontarsi con la diversità culturale e ascoltare chi la pensa diversamente da noi. “Essendo femminista, ci sono delle cose, come la poligamia, che non posso condividere. Tuttavia, sono consapevole che nelle società dove la donna non ha il permesso di lavorare, la poligamia può essere l’unico modo per sopravvivere per non arrivare alla prostituzione. È quindi necessario un lavoro di dialogo e ascolto in tutte le direzioni per impedire di arrivare a quel punto. Bisogna dare alla donna gli strumenti per avere voce nella società e non semplicemente criticare la poligamia senza conoscere le ragioni sociali dietro tale pratica. ”