Metti cinque asiatici esponenti della comunità LGBT nei loro paesi attorno allo stesso tavolo e il risultato non vi deluderà. In occasione del sesto festival degli scrittori tenutasi a Ubud, Indonesia, dal 7 all’11 ottobre, Amir Muhammad (Malesia), Ng Yi Sheng (Singapore), Ernest Jk Wen (Indonesiana-cinese), Cok Sawitri (Balinese) e Dédé Oetomo (Giavanese) hanno raccontato, con una grande dose di ironia e umorismo, le sfide affrontate dalla comunità LGBT nei rispettivi paesi e regioni. Il risultato è un ritratto misto, dove si ritrovano molti dei problemi affrontati dalla comunità LGBT nel mondo. Inoltrandosi nella conversazione, l’aspetto che colpisce maggiormente è l’eterogenità del gruppo e dello stesso Sud-Est asiatico quando si parla di LGBT. La diversità rappresentata nell’eterogeneità di etnie, lingue, culture e tendenze in un continente enorme.
Come quasi di rito, si comincia l’incontro riferendosi agli assenti e alle vittime di violenza, due tra le tante ferite che la comunità LGBT mondiale cerca di limitare da sempre. Al contrario di quel che succede di solito alle conferenze, quando, riferendosi agli assenti, si dice: “Peccato per lui se non è venuto! Non sa cosa si perde!”, agli incontri ed eventi che trattano tematiche LGBT gli assenti sono sì tra i primi ad essere ricordati, ma sempre con amarezza. In quei contesti gli assenti non sono gente che se ne frega, ma spesso non sono presenti perché impossibilitati al venire da forze maggiori, ovvero dinamiche psicologiche e sociali se non addirittura politiche. Le vittime di violenza, anche loro sono tra chi ha bisogno di altre voci per riuscire a farsi sentire. Per lo meno a provarci. Anche qui assenti e vittime non mancano e anche in questo lato del mondo è inanzitutto la famiglia il primo ostacolo all’accettazione, il riconoscimento e l’inclusione a pieno titolo di gay, lesbiche, bisessuali, transgender e ermafroditi nella società.
Amir è un giovane autore malese, curatore di Body 2 Body- a Malaysian Queer Anthology, una raccolta di racconti brevi su tematiche LGBT. È il primo libro di questo genere mai apparso in Malesia, dove essere omosessuale è illegale e passibile di pene molto dure. Anche se si tratta di una collezione di racconti di autori malesi, tutte le storie sono in inglese. Amir racconta che il libro è stato pubblicato due mesi fa e non è (ancora) successo niente. Ha avuto successo, è stato venduto e pubblicato in altri paesi e non ci sono state ripercussioni di nessun tipo, ma nessun giornale in Malesia è stato disposto a pubblicare una recensione, neanche un trafiletto. Omertà nazionale pesante ma nessuna conseguenza penale. “In Malesia l’omosessualità è reato, ma le vittime di questa legge sono per lo più i transgender. È difficile che un omosessuale appartenente alla classe medio-alta venga condannato, anche se ovviamente non esiste che se ne parli apertamente. Si sa ma non si dice.” Idem per le organizzazioni gay, che non esistono ufficialmente, ma si “camuffano” da organizzazioni che lavorano per la lotta all’ HIV-AIDS. Anche nei riguardi di questa malattia continua ad esserci omertà. “Non si parla mai di AIDS, quanto della “malattia misteriosa”. Quando qualcuno muore di AIDS si dice: “Oh! È morto della malattia misteriosa!”, spiega Amir. E’ in progetto la stesura di un’altra antologia, questa volta in lingua malese, per avvicinarsi maggiormente a tutta la società e superare omertà e pregiudizi (oltre che condanne!) legati alle tematiche LGBT.
Anche a Singapore l’omosessualità è reato e i rapporti sessuali tra uomini sono punibili fino a due anni di carcere. Tuttavia, come esordisce ridendo Ng Yi Sheng, attivista per i diritti degli omosessuali a Singapore e autore di Last Boy, una collezione di poesie, “A Singapore non è tanto un problema essere un attivista gay perché gay, ma perché attivista!” Ng Yi Sheng racconta che il governo singaporeano ultimamente ha mostrato apertura nei confronti degli omosessuali, per lo più non-singaporeani. Il motivo? “Sembra che si siano accorti che in Occidente ci sono molte persone istruite, dalla spiccata creatività e con il fiuto per gli affari appartenenti alla comunità LGBT. Non sarà certo Singapore ad impedirgli di venire a fare business e a far prosperare l’isola per delle banali questioni di forma…”
In Indonesia la situazione è la più diversa. Si passa da Bali, dove proliferano i locali notturni gay e dove i lady boy sono piuttosto accettati a Banda Aceh, dove di recente è stata introdotta la pena di fustigazione per gli omosessuali (si rischiano fino a cento frustate e a otto anni di carcere) e la pena di morte per lapidazione per gli adulteri.
A questo tavolo, l’Indonesia è rappresentata da tre autori provenienti da regioni molto diverse, Ernestine Jk Wen appartiene alla comunità cinese di Kalimantan, Cok Sawitri è un’autrice balinese e Dédé Oetomo, giavanese, è il cofondatore della prima associazione per la promozione dei diritti degli omosessuali in Indonesia (Lambda Indonesia, 1982) e ha fondato, nel 1987, GAYa Nusantara, l’associazione gay più importante attualmente nel paese. Nonostante la situazione indonesiana sia estremamente eterogenea, tutti e tre gli oratori concordano sul fatto che la famiglia è il luogo dov’è più difficile essere accettato quando omosessuale. “Come associazione abbiamo condotto un sondaggio”, racconta Dédé, “in cui abbiamo chiesto agli intervistati che cosa farebbero se i propri figli gli rivelassero che sono omosessuali. Le risposte sono state agghiaccianti. La maggior parte ha risposto che si rivolgerebbe alle autorità religiose e che pregherebbe per la “guarigione” dei propri figli. Altri hanno addirittura risposto che chiederebbero l’intervento della polizia. Ecco perché,” , aggiunge Dédé per sdrammatizzare, “gli omosessuali indonesiani tendono a fare coming out il giorno di Idul Fitri, alla fine del Ramadhan, quando si suole perdonare e superare tutti gli screzi e le tensioni vissuti in famiglia nel corso dell’anno.”
“Un altro problema”, dice Ernestine, “è la definizione stessa di LGBT”. L’Indonesia è un paese molto “omosociale”, nel senso che è normale che si dimostri affettività tra persone dello stesso sesso. È comune vedere due uomini che si tengono per mano o due donne in situazioni che agli occhi di un occidentale potrebbero sembrare equivoche. “Questo non significa assolutamente che le persone in questione siano omosessuali. È quindi difficile indentificarsi in quanto tali e nelle nostre associazioni abbiamo molti casi di persone che non capiscono la definizione di “gay” o “lesbica” e non sanno dove collocarsi.”
Anche qui, come in Malesia, molte delle organizzazioni che promuovono i diritti della comunità LGBT si fanno passare per associazioni per la lotta all’AIDS, ma la situazione è nettamente migliorata negli ultimi dieci anni. La caduta del regime di Suharto e la conseguente maggiore libertà in tutti i campi ha aperto la strada a maggiore libertà di stampa e all’attivismo politico alla luce del sole. Oggi, nella maggior parte del paese, è possibile tenere un incontro che tratta apertamente di tematiche LGBT senza temere ripercussioni o aggressioni. “Oggi nelle associazioni per la promozione dei diritti umani, così come nella comunità LGBT c’è la consapevolezza che i diritti degli omosessuali sono diritti umani. La realtà poi è diversa, ma ci sono stati dei casi di aggressioni subite da omosessuali o transgender che sono stati affrontati come violazioni dei diritti umani. Ci stiamo arrivando e, a mio avviso, anche abbastanza rapidamente, se consideriamo che in Indonesia si può parlare di diritti umani apertamente solo da dieci anni. Diciamo che sia politicamente che socialmente si stanno facendo dei passi avanti. Lenti ma ci sono. Non si può imporre la propria moralità agli altri. Mi sembra ovvio che non condivido l’idea dei musulmani ortodossi, per i quali dovrei essere fustigato, ma non desidero neanche imporre la mia di moralità, ad esempio obbligando la gente ad andare nei locali gay! Vorrei semplicemente che tutti godessero della libertà di esprimersi, anche gli appartenenti a una minoranza come gli esponenti della comunità LGBT. È un processo in corso, ci stiamo arrivando. Ci vuole tempo e tanta pazienza” conclude Dédé.
Tra l’altro…come si traduce “to come out of the closet” in indonesiano? In italiano abbiamo mantenuto la formula inglese: fare outing etc.. In indonesiano i termini variano a seconda della regione. A Giava e a Surabaya si tende ad usare espressioni traducibili come “il buco è rotto” (“senza riferimenti al retto”, assicura Dédé!) oppure “sbocciare”, “rivelarsi”, “rendersi libero”, “rendersi indipendente”. Anche se, come sottolinea Ernestine, si tende più che altro a non dire niente, a non usare termini o espressioni specifiche. Si tende a mantenere il silenzio.